La Depressione Post Partum rientra in un quadro patologico di gravità media ed è considerata l’espressione più comune della patologia post partum.
Si verifica nel 10% circa delle nascite ed è più frequente nelle madri-adolescenti; la sua durata è variabile posto che una delle sue caratteristiche è un’evoluzione sotto tono che tende alla cronicità.
Se non riconosciuta e trattata può persistere anche dopo un anno dall’esordio e ampliare così in termini indefiniti le ripercussioni negative sul bambino.
Per poter parlare di depressione post partum è necessario parlare anche della Gravidanza e di come questa rappresenti non solo un periodo di crescita per le future madri, ma anche un periodo di crisi, che le porterà a dover riorganizzare il proprio assetto psicologico, la relazione con il proprio corpo e il rapporto, non solo con il partner, ma con tutte le figure rappresentative per lei e per il nascituro.
La gravidanza diventa un momento cruciale dello sviluppo della donna a cui fa seguito l’acquisizione di un livello di integrazione più maturo, caratterizzato proprio dalla risoluzione dei precedenti conflitti infantili.
Lo sviluppo psicologico è chiamato, in certa misura, a mutare direzione, il che comporta una sorta di ripresa nella crescita individuale: si tratta, conseguentemente, di una fase ricca di innumerevoli potenzialità evolutive, ma nel contempo aperta a rischi da non sottovalutare.
Questo periodo di crisi, dunque, assume una doppia valenza: da un lato di tipo evolutivo e dall’altro di estrema vulnerabilità, con impliciti rischi di distorsioni psicopatologiche essendo la donna soggetta ad una profonda destrutturazione e successiva riorganizzazione del suo senso di identità.
Si tratta quindi di un faticoso e lungo cammino, dove gli elementi simbiotici (essere madre, la formazione dell’unità madre-bambino) e quelli di individuazione-separazione (avere un bambino, immaginare il nascituro come altro da sé), confermano alla donna l’integrità del proprio corpo contro delle fantasie inconsce di deterioramento, dando l’avvio ad una relazione simmetrica madre-bambino.
Riconoscere e diagnosticare precocemente la depressione post partum risulta spesso difficile soprattutto per la natura mascherata ed ambigua dei primi sintomi: si può assistere -ad esempio nei primi mesi- ad una depressione “sorridente”.
In altri casi, la madre depressa tende a vivere in modo ritirato con il suo bambino e fatica a riconoscere ed ammettere il suo stato di sofferenza. Uno dei motivi che impediscono alla madre di cercare aiuto sembra essere l’immaginario popolare che trasmette un quadro idilliaco di felicità entro il quale bisognerebbe trovare istintivamente i gesti dell’efficacia materna.
Nel patrimonio della specie umana è profondamente radicata l’idea della capacità di prendersi cura dei propri figli. Questa predisposizione innata è stata descritta nel 1996 da George e Solomon nel costrutto di “caregiving-system”, in base al quale, a partire dalla prima adolescenza, si comincia a sviluppare un’attitudine genitoriale che potrà realizzarsi pienamente in corrispondenza dell’attesa e della nascita di un bambino.
Nel casi delle madri depresse, però, si assiste alla messa in atto di comportamenti difensivi che Guedeney ha descritto come il “paradosso della madre depressa“: la donna ritiene di non avere il diritto di sentirsi triste o infelice o depressa in un momento che dovrebbe essere caratterizzato, secondo il senso comune, da grande felicità e senso di realizzazione; nel momento in cui ella riconosce la propria depressione tende a giudicarsi in termine morali considerandosi una “cattiva madre”. Di conseguenza, non è in grado di comunicare alle persone a lei più vicine le sue preoccupazioni e finisce per chiudersi in un universo abitato solo da pensieri terribili.
La sintomatologia appare in modo conclamato tra le 8 e le 12 settimane dopo il parto. In ogni madre si può manifestare una diversa costellazione di sintomi, che variano in base alle caratteristiche individuali, psicosociali ed ambientali.
A partire da alcuni studi condotti da Winnicott, Leckman e collaboratori nel 1999, si è messo in luce che nelle prime due settimane successive al parto, i genitori hanno pensieri insistenti sul figlio: circa il 95% delle madri e l’80% dei padri presenta preoccupazioni riferite allo stato di salute del bambino; nel caso di genitori che aspettano il primo figlio, compaiono anche preoccupazioni riguardanti le modalità di accudimento. Bisogna anche sottolineare che durante la gravidanza, il 37% dei genitori riporta pensieri insistenti, seppur fugaci, di fare del male fisico al proprio figlio, come scuoterlo, colpirlo oppure buttarlo giù da un edificio.
La depressione produce nelle madri una generale limitazione dell’espressione dell’affettività: tale predisposizione, ricavabile dall’aspetto triste, teso, ansioso e talvolta irritato, si esprime nella tendenza ad evitare il contatto fisico e visivo con il bambino, mediante la messa in atto di atteggiamenti punitivi, oppure attraverso il mancato coinvolgimento in attività comuni.
I sintomi maggiormente frequenti negli episodi depressivi che si manifestano nel post partum, benchè non siano specifici per essi, sono: fluttuazione dell’umore, caratterizzate da un rapido alternarsi del tono dell’umore con sintomi di tristezza, svogliatezza, pianto, caduta della concentrazione; preoccupazione eccessiva per il benessere del bambino: l’intensità di queste preoccupazioni può variare dall’iper-coinvolgimento fino a veri e propri deliri.
La presenza di gravi ruminazioni mentali e pensieri deliranti relativi al neonato si associa ad un rischio particolarmente elevato di danneggiare fisicamente ed emotivamente il bambino.
Le madri depresse si impegnano poco in comportamenti di imitazione: appaiono generalmente ritirate o inibite, oppure estremamente ipercontrollate ed intrusive. Inoltre, queste donne, incontrano numerose difficoltà nell’interpretare correttamente i segnali inviati dal bambino, non riuscendone a soddisfare le esigenze fisiologiche primari. Ad esempio, durante l’allattamento, tendono ad evitare il contatto visivo con il figlio, non riuscendo a comprendere adeguatamente i ritmi di suzione.
La depressione post-partum può compromettere la capacità materna e, di conseguenza, anche quella della diade madre-bambino, di regolare reciprocamente l’interazione (Cohn & Tronick, 1989), portando ad una disregolazione degli affetti nell’interazione che interferisce con il processo di apprendimento del bambino.
La valutazione è di primaria importanza per promuovere un intervento precoce sulla donna, sulla costruzione della relazione madre-figlio e sulla relazione di coppia. Risulta pertanto utile offrire alle madri un costante supporto di rete da parte di tutti gli specialisti coinvolti.
Se questo sostegno alla maternità viene previsto dai piani sanitari inglesi, olandesi, francesi e svedesi, in Italia, nonostante i molti disegni di legge, risulta carente.